I prossimi anni vedranno una domanda crescente di connettività, fondamentale in una società ad alta complessità e rapida evoluzione in cui la commistione fra il reale e il virtuale sarà sempre più rilevante. Non solo l’evoluzione industriale, ormai orientata alla automazione avanzata della Industria 4.0, ma ogni altro ambito del vivere sociale sarà sempre più alimentato e definito dai flussi digitali: il sistema della medicina per generare e rendere accessibili i dati dei pazienti, fino alle applicazioni più innovative come la telemedicina e telechirurgia; il sistema del lavoro per consentire la applicazione massiva dello smart working, accelerato dalla stessa pandemia Covid19 e alla base di una domanda crescente di “work-life balance”; il sistema dell’educazione per introdurre nuove e più efficaci modalità di apprendimento, stimolate anche dalle esigenze del distanziamento sociale; il sistema dell’abitazione, ormai luogo di convergenza di molteplici funzioni e potenziali nuovi servizi, in cui al lavoro a distanza si affiancherà una fruizione crescente di contenuti, sia informativi sia educativi sia di svago, dalle infinite e in parte ancora inespresse potenzialità (streaming in alta definizione, realtà virtuale, etc.).
Come in un composito organismo in cui ogni parte è interconnessa all’altra in modo sempre più stretto, nella società degli anni a venire i flussi digitali scorreranno come linfa vitale tra un sistema e l’altro e all’interno dei sistemi stessi.
Come l’esperienza del settore dimostra, più si cerca di interpretare il target “Millenials” più questo appare frammentato e sfuggente, se non ampiamente contraddittorio; più si cerca di avvicinare quella fascia d’età con prodotti/servizi dedicati, attraverso linguaggi e contesti mirati, più ci si rende conto della inadeguatezza degli strumenti impiegati. Il rischio è quello, da una parte, di una eccessiva quanto inefficace frammentazione (per sotto-fasce d’età, per percorso di studi, per reddito famigliare, per abitudini di spesa, etc.); dall’altra di cadere nella tentazione di porsi sullo stesso piano dei giovani, imitandone il linguaggio, soddisfacendone presunti desideri (l’immancabile gadget elettronico…), frequentando gli stessi luoghi di interesse (reali, mediatici o virtuali che siano), fino a crearne dei propri “ad hoc” (si pensi all’esperienza infruttuosa della Community “SuperFlash” di IntesaSanPaolo). Anche interpellarli direttamente può essere fuorviante: se è vero che “il consumatore non sa oggi ciò che vorrà domani”, lo stesso principio vale per i Millenials. Se interrogati a proposito dei propri bisogni, rischiano di fornire risposte limitate e basate sul passato, non su ciò che caratterizzerà il loro futuro. Per “guardare avanti” serve al contrario un cannocchiale e non uno specchietto retrovisore.
Ne consegue che tutti i tentativi di avvicinare i Millenials da parte del settore bancario sono destinati a fallire se non si adotta uno strumento capace di guardare al di là della segmentazione per “target”, ormai non più idonea a interpretare una società ad alta complessità e contraddittorietà come quella attuale.
Nella società postmoderna la costruzione delle aspettative in generale, e a maggior ragione del giovane, passa attraverso il rapporto con le diverse aree funzionali (sistemi sociali) che nel loro insieme formano la società, complessa e in divenire. E' questa la nostra chiave di lettura, l’unica in grado di leggere e gestire la “complessità” del mercato. La risposta del settore deve basarsi sulla individuazione e ponderazione dei trend che definiranno le future esigenze funzionali dei giovani, e come queste possano essere lette in relazione alla propria offerta (prodotti, servizi, comunicazione).